Risarcibilità del danno morale spettante al nipote per la perdita del nonno

La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria hanno a lungo dissertato circa la prospettiva dell’allargamento del novero dei legittimati attivi a chiedere il risarcimento del danno per perdita del rapporto parentale agli altri parenti e affini non ricompresi nella famiglia nucleare.

La questione è stata a lungo controversa perché vi è chi ha sottolineato che l’estensione della tutela rimediale potrebbe dilatarsi notevolmente anche a favore di qualsiasi soggetto sentimentalmente legato alla vittima principale ( si pensi all’amico del cuore, al collega di lavoro, alla fidanzatina di turno).

Solo agli inizi del nuovo millennio una parte della giurisprudenza è giunta ad affermare con viepiù crescente costanza e convinzione, la possibilità di riconoscere la legittimazione attiva all’azione risarcitoria anche in capo a congiunti non appartenente alla famiglia nucleare (legale o di fatto), quali parenti e affini, per esempio nonni, nipoti, zii e cugini, cognati, per i quali però veniva richiesta almeno la prova della convivenza, “quale requisito minimo che esteriorizza l’esistenza di un legame affettivo”.

Tale orientamento è stato però oramai superato dai recenti approdi giurisprudenziali e dottrinali.

Ed infatti, la Cassazione già con la pronuncia del 15 luglio 2005, n. 15019, resa  in una fattispecie in cui rilevava solo il danno ai nipoti per la morte del nonno, non ha differenziato la posizione dei nipoti rispetto gli stretti congiunti (coniuge, genitori, figli), individuando il fondamento del danno non patrimoniale, per tutti i superstiti, nella lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili, costituendo la perdita dell’unità familiare, perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale.

La giurisprudenza granitica, in sintesi, ritiene oramai sufficiente ai fini della sussistenza della legittimazione passiva dei prossimi congiunti, l’emersione, sul piano probatorio, di “normali rapporti” che, specie in assenza di coabitazione, lasciano intendere come sia rimasto intatto, e si sia rafforzato nel tempo, il legame affettivo e parentale tra prossimi congiunti.

In particolare, “la sussistenza di normali rapporti tra nonni e nipoti”, specie in assenza di coabitazione, lascia intendere come sia rimasto intatto, e come si sia rafforzato nel tempo, il legame affettivo e parentale tra prossimi congiunti. Legame che, in presenza di tali rapporti, è costituito non solo sul ricordo del passato, ma anche sulla base affettiva nutrita dalla frequentazione in atto e dalla consapevolezza della presenza in vita di una persona cara, che è anche un punto di riferimento esistenziale. L’assenza di coabitazione non può essere considerato elemento decisivo di valutazione, quando si consideri che tale assenza sia imputabile a circostanze di vita che non escludono il permanere dei vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto”.

Si può quindi sostenere che la determinazione del danno non patrimoniale da perdita del congiunto deve essere effettuata sulla base del genere e del contenuto specifico del legame che univa la persona deceduta al familiare, non avendo alcuna incidenza il luogo di residenza del danneggiato superstite.

Ed infatti, come affermato già in precedenza dalla Cassazione n. 16716/2003, la morte di un congiunto, conseguente a fatto illecito, configura per i superstiti del nucleo familiare un danno non patrimoniale diretto ed ingiusto, costituito dalla lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili, quali la perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale, risulta quindi evidente che il danno in questione, incidendo esclusivamente sulla psicologia, sugli affetti e sul legame parentale esistente tra la vittima dell’atto illecito e i superstiti, non è riconoscibile se non attraverso elementi indiziari e presuntivi, che, opportunamente valutati, con il ricorso ad un criterio di normalità, possano determinare il convincimento del giudice, senza che un requisito, in via esclusiva e condizionante (la coabitazione), ne determini la sussistenza o meno.

La convivenza, pertanto, non assurge a criterio fondante la legittimazione dei parenti estranei alla famiglia nucleare, ma semmai quale categoria esemplificativa o mero indice presuntivo idoneo a dimostrare unitamente ad altri fattori ed elementi, che possono essere allegati,  la reciprocità del vincolo affettivo e l’intimità del rapporto parentale ( Corte di Cassazione, Sez. III, nella pronuncia n. 21230 del 20 ottobre 2016).

Questa impostazione è stata condivisa dalla giurisprudenza su larga scala, tant’è che le tabelle giurisprudenziale di nuova generazione per la liquidazione dei danni non patrimoniali hanno esteso la platea dei congiunti legittimati attivi.

Ed infatti, già nella versione delle Tabelle Milanesi del 2009, redatte dall’Osservatorio per la giustizia civile di Milano, poi aggiornate nel corso degli anni, l’ipotesi risarcitoria dei nonni per la perdita di nipoti è stata espressamente inserita quale fattispecie generale, senza prevedere il requisito della convivenza.

Vien da sé che tale riconoscimento naturalmente comporta lo speculare riconoscimento della tutela risarcitoria dei nipoti, stante la simmetricità della relazione.

Uguale riconoscimento si rinviene nella “Tabella liquidazione del danno non patrimoniale da morte di un congiunto” elaborata dal Tribunale di Roma (sia nella versione del 2009 sia nei successivi aggiornamenti), ove è specificamente contemplata la legittimazione attiva dell’avo e del nipote, ma anche quella dello zio, del cugino.

Avv. Rosina Maiorano