Vaccino Covid-19 e dubbi di validità del consenso informato

IL 1 gennaio 2021 l’AIFA (Agenzia Italiana per il Farmaco) ha reso pubblico il modulo per il consenso informato per la vaccinazione anti-covid 19, in cui si legge al punto 10 dell’allegato 1 che “ non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza”.

Si è subito scatenata una querelle giuridica circa la validità del consenso informato prestato rebus sic stantibus.

La tematica del diritto al consenso informato è stata affrontata oramai da anni sia a livello sovranazionale che nazionale.

La Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la Biomedica di Oviedo (1997) afferma al Capitolo II- Consenso. Art. 5- Regola generale: “ Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato il consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto un’informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”.

La Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE afferma al par. 2 lett. a) “ Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: a) il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”.

In Italia vi sono stati plurimi interventi legislativi che hanno costituito dei primi approcci alla tematica e che hanno portato al riconoscimento del consenso-informato quale presupposto legittimante l’attività sanitaria che ci si accinge a ricevere.

Il consenso informato inteso quale manifestazione dell’adesione “consapevole” al trattamento sanitario proposto dal medico, è un diritto che trova il suo fondamento nell’art. 2 della Costituzione, il quale tutela i diritti fondamentali della persona, nonché negli artt. 13 e 32 Cost.

I principi di riferimento sono altresì ravvisabili nelle seguenti fonti normative: L. n. 219 del 2005, art. 3; la L. n. 40 del 2004, art. 6 L. n. 833 del 1978, art. 33, nonché art. 29 del Codice di Deontologia medica, il quale sancisce che “il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito ed informato del paziente”.

Il legislatore da ultimo, nel promulgare le norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, con la legge 22 dicembre 2017 n. 219 ha espressamente stabilito che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero ed informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.

In ordine alle modalità ed ai caratteri del consenso, è stato affermato che il consenso deve essere innanzitutto :

  • Personale, cioè prestato dal paziente (fanno eccezione i casi di incapacità);
  • Specifico ed esplicito;
  • Reale ed effettivo, giammai presunto;
  • Attuale.
  • Pienamente consapevole, basato su informazioni specifiche e dettagliate fornite dal medico.

Il consenso informato implica quindi la piena conoscenza della natura dell’intervento medico/chirurgico, del piano terapeutico, della sua portata, estensione, dei rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative.

Sul piano risarcitorio la lesione del diritto al consenso informato costituisce una voce risarcitoria autonoma.

L’illecito per la violazione del consenso informato sussiste quindi ogni qualvolta il paziente, a causa del deficit di informazione, non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con volontà consapevole delle sue implicazioni; con la conseguenza che tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di valido consenso e appare, pertanto, eseguito in contrasto con i precetti di cui agli artt. 32, comma 2 e 13 Cost. e dell’art. 33 della Legge 833/1978.

A parere della giurisprudenza maggioritaria, inoltre, il consenso deve essere frutto di un rapporto reale e non solo apparente tra il medico e il paziente, in cui il sanitario è tenuto a raccogliere un’adesione effettiva e partecipata, non solo cartacea, all’intervento.

Esso non è dunque un atto puramente formale o burocratico (Cass.n.21748/2007).

Con la sentenza n. 27751/2013 la Suprema Corte ha altresì precisato, relativamente all’ “ampiezza” dell’informazione che il medico deve fornire al paziente, che il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest’ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti, col solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo secondo l’”id quod plerumque accidit”, in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque ad interrompere il necessario nesso di casualità tra l’intervento e l’evento lesivo (Cass. n. 27751/2013)

La nozione è assai rilevante, in quanto, l’aver taciuto una complicanza che, se pur non prevenibile, sia comunque prevedibile anche in percentuale molto bassa, costituisce violazione giuridicamente rilevante.

Orbene, nel caso della vaccinazione anti-Covid, risulta manifesta l’ambiguità dell’informazione, laddove viene indicata la “possibilità di effetti avversi (negativi) che attualmente non si conoscono”, per cui, di fatto, il paziente non viene messo in condizione di assumere la sua decisione in merito ai rischi, ma gli viene chiesto di decidere nonostante la declarata incertezza dei rischi stessi.

In merito va registrato, però, un recente ed importante intervento giurisprudenziale ove la Cassazione nel decidere una vicenda che vedeva coinvolta una casa farmaceutica produttrice di un vaccino sperimentale inoculato ad una bambina con insorgenza successivamente di autismo ha affermato quanto segue: “Deve essere escluso il risarcimento per la patologia manifestatasi dopo la sottoposizione ad una vaccinazione sperimentale allorché risulti rilevante la mancanza di prove certe sul nesso tra l’inoculazione del vaccino e la malattia. Decisiva, nella specie, anche la constatazione che il consenso era stato correttamente acquisito e che su questo fronte era stata evidenziata la possibilità di eventi avversi sconosciuti” ( Cass. Civ. Sez. III, n. 25272 del 10.11.2020).

In tale fattispecie dunque, la Corte ha ritenuto sufficiente il richiamo a possibili eventi “sconosciuti” alla medicina, ritenendo valido anche il consenso informato prestato, con un argomentazione che sembra rifarsi al principio sotteso in parte alla disciplina speciale sul danno da prodotto, che vede un largo utilizzo “dell’esimente del rischio da sviluppo” (spesso richiamata quando si controverte in tema di danni causati da prodotto farmaceutico), che prevede che il produttore non debba risarcire il danno causato da un difetto che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui ha messo in circolazione il prodotto, non permetteva di scoprire (ex art. 118 lett.e, cod. cons).

Avv.ssa Rosina Maiorano